Seconda Parte

UN MOTIVO IN PIÙ PER BERE VINI ITALIANI

Il primo studio che rilevava la presenza di OTA nel vino è del 1996. Da allora in poi, la presenza dell’OTA nella produzione vinicola sia locale sia di importazione è stata segnalata in numerosi Paesi europei ed extra europei.

Livelli di contaminazione elevati sono stati ritrovati nei vini rossi del sud dell’Europa (ad esempio nei vini greci, portoghesi, e nei vini italiani prodotti al sud), che solitamente sono risultati più contaminati dei vini bianchi derivanti dalle stesse zone vitivinicole. Il vino non è l’unico derivato dell’uva in cui l’OTA è stata segnalata; infatti, la micotossina è stata ritrovata anche nei succhi e, a concentrazioni ben più rilevanti, nell’uva passa.

Il contributo del vino al consumo giornaliero di OTA può essere considerato trascurabile nel caso di bevitori di vino prodotto nel Nord Europa, ma questo non vale per bevitori medi che consumano costantemente vino rosso prodotto nelle zone meridionali dell’Europa; in questo caso, il vino da solo può apportare alla dieta un contenuto di OTA uguale o anche superiore al consumo giornaliero tollerabile stabilito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Per nostra fortuna la maggior parte dei vini italiani sono esenti da ocratossina A.  Continuiamo quindi a bere i nostri buoni vini italiani. Senza esagerare, ovviamente.

Tratto da Spore (2014) di Maria Lodovica Gullino. Daniela Piazza Editore