Seconda Parte

IL CANCRO DEL CIPRESSO

La gravità assunta da questa malattia è da imputarsi, oltre che alla virulenza del parassita, anche all’introduzione del cipresso, da parte dell’uomo, in areali non propriamente idonei. Questa pianta, infatti, al di fuori del suo areale di origine, va spesso soggetta a danni da freddo che si manifestano con ferite più o meno evidenti che costituiscono la via preferenziale di ingresso del patogeno nei tessuti della pianta. Una volta penetrato nella pianta, il fungo si sviluppa rapidamente provocando la necrosi dei tessuti con i quali viene a contatto; la pianta oppone una forte reazione che si manifesta con l’emissione di un’abbondante quantità di resina e con la produzione di una barriera di cellule suberose che però vengono superate dal fungo quando la pianta va in riposo vegetativo.

Quando coltivati nel loro areale di origine i cipressi non entrano in riposo vegetativo e così sono in grado di contrastare efficacemente la colonizzazione dei tessuti da parte del patogeno. Quando il fungo ha colonizzato l’intero asse del ramo, la cima si dissecca e l’infezione procede verso il basso.

Grazie a finanziamenti nazionali ed europei il miglioramento genetico ha permesso ai ricercatori del Consiglio Nazionale delle ricerche di Firenze di ottenere cloni resistenti al cancro che sono attualmente in commercio e che hanno permesso di fare rivivere il viale di cipressi tanto caro al Carducci.

Tratto da Spore (2014) di Maria Lodovica Gullino. Daniela Piazza Editore