Verso la metà del 1800 qualche ignorante tentò di coltivare in Europa la vite selvatica americana: a ciò si imputa l’arrivo dei tre parassiti “americani”.
Il primo ad arrivare fu l’agente del mal bianco, osservato nel 1845 prima in Inghilterra, poi in Francia, in Italia e negli altri paesi europei. I danni causati dall’oidio furono molto gravi, fino a quando non si scoprì l’efficacia dello zolfo contro l’agente di questa malattia.
Subito dopo, a ruota, arrivò la fillossera, causata da un insetto poco dannoso sulle viti americane, ma assai grave su quelle europee: il suo nome, Phylloxera vastatrix, ne descrive bene l’effetto devastante, soprattutto a livello dell’apparato radicale. Per fortuna dei viticoltori europei, l’innesto di una marza di vite europea su talee di vite americane (resistenti al parassita) risolse il problema. Questa tecnica è ancora oggi utilizzata normalmente; quando si impianta una coltivazione di vite lo si fa utilizzando piante innestate.
L’ultimo parassita, la Plasmopara viticola, causa della malattia nota come peronospora, fu il più insidioso. Il patogeno era già stato descritto in nord America nel 1834, dove, probabilmente, era presente in forma endemica su viti selvatiche, senza produrre gravi danni. I viticoltori europei più preparati erano a conoscenza della presenza di questo patogeno cui si imputava l’impossibilità di coltivare sulla costa atlantica del nord-America la vite europea. Nonostante le precauzioni prese, l’agente della peronospora arrivò in Europa, provocando i primi danni nel 1878 in alcuni vigneti della regione di Bordeaux, in Francia. La peronospora della vite si diffuse poi molto rapidamente in Europa: nel 1879 era già in Italia, nell’Oltrepò pavese. Si pensò che la malattia potesse causare la fine della viticoltura europea. In realtà abbastanza rapidamente fu individuato un prodotto assai efficace. La poltiglia bordolese, appunto.
Tratto da Spore (2014) di Maria Lodovica Gullino. Daniela Piazza Editore